Ogni anno il Museo Lechi propone una mostra dossier allestita in una sala appositamente dedicata per presentare ed approfondire capolavori - poco noti o mai esposti - provenienti da collezioni private o pubbliche e in dialogo con dipinti esposti nel percorso permanente del museo.
Questa nuova occasione espositiva presenta due capisaldi del catalogo artistico di Alessandro Magnasco, prestati da una collezione privata, databili intorno al 1715 e raffiguranti due interni di cucina caratterizzati da una straordinaria attenzione al dato reale della vita quotidiana nelle fastose cucine di nobili dimore dell’epoca.
Concepiti en pendant, i due dipinti sono prova esemplare di una pratica, quella della pittura a più mani, che non era inconsueta nell’attività delle botteghe artistiche tra Sei e Settecento, in particolare nel quadro della produzione di scene cosiddette “di genere”. Sulle due tele, infatti, è stato ravvisato l’intervento di almeno tre artisti, forse quattro: uno specialista di architetture, per preparare lo
scenografico sfondo entro cui ambientare le figurette in abiti d’epoca; un abile “naturamortista”, per i coloratissimi cibi - frutta, animali, carni appese, pani e suppellettili - delle due cucine; e infine un pittore, il Magnasco, per i personaggi, nobili e popolari, che tali spazi abitano. Le due tele (cm 95x120 ognuna) saranno messe a confronto nella stessa sala con un terzo capolavoro del pittore genovese già conservato al Museo Lechi intitolato: Rovine architettoniche con pitocchi e soldati (olio su tela, cm 148x208).
In questo grande dipinto Magnasco raffigura le tematiche più note della sua iconografia ispirata alla letteratura picaresca: dal ciarlatano, ai giocatori, dall’altalena al concertino, fra un bric-à-brac di sgabelli, fucili, tamburi sfondati, brocche, ceste, pezzi di armatura, elementi tutti distribuiti con consumatissima perizia di scenografo negli spazi grandiosi e abilmente mossi e variati da Clemente Spera (1661 circa - 1742) a cui è qui affidata la realizzazione delle rovine architettoniche immaginaria dove è ambientata la scena.
Alessandro Magnasco (Genova 1667-1749). La sua biografia è ancora avvolta da un ammaliante alone di mistero dovuto alla scarsità di testimonianze sul suo conto. Nato a Genova si trasferì ben presto a Milano dove è documentato negli ultimi decenni del Seicento e dal 1709 al 1733. Nella capitale lombarda l’artista si interessa a quanto vede nelle strade, nelle piazze o nelle campagne circostanti. In particolare i soggetti più ricorrenti della sua produzione registrano la vita religiosa nella sua quotidianità: pellegrini e devoti raccolti in preghiera, monasteri con
frati e monache ritratti nelle loro attività. La realtà diviene per Magnasco una valida alternativa alla bottega del suo maestro Filippo Abbiati o di qualsiasi altro artista presente allora a Milano. Tra il Seicento e il Settecento il suo nome ricorre spesso nelle collezioni più colte garantendogli un ruolo da protagonista nella cosiddetta pittura di genere, considerata allora inferiore a quella sacra o storica. Tra i committenti più noti spicca di quegli anni spicca il conte Gerolamo Colloredo, governatore di Milano. Il suo catalogo si allarga così al paesaggio, alla veduta prospettica e ai capricci con architetture in rovina: fondali scenografici realizzati con l’aiuto di compagni di lavoro ormai identificati come Clemente Spera e Antonio Peruzzini (specializzati nelle rovine e nei paesaggi), adatti ad accogliere le guizzanti “macchiette” ideate da Magnasco, che nel gruppo svolge il ruolo di “figurista”. Ma la pittura dell’artista genovese mostra anche un profondo e complesso rapporto con fonti letterarie semiclandestine legate a correnti di pensiero più avanzate che percorrevano quei secoli. L’inquietante linguaggio pittorico e le tematiche anticonformiste che spesso percorrono la sua opera, sembrano infatti riferirsi a più vaste esperienze, a percorsi complessi e segreti, che per ora sfuggono agli studiosi. Anche la tecnica da lui scelta segue il medesimo percorso lontano dagli artisti a lui coevi. Basti osservare le sue inconfondibili “figurette” disarticolate in posture fortemente espressive, tratteggiate da una pennellata frantumata e nervosa su fondi lividi e terrosi.
Dal 1703 al 1710 è segnalata la presenza di Magnasco alla corte del Gran Principe Ferdinando de’ Medici, raffinato collezionista e grande estimatore della sua pittura. In quegli anni Firenze è uno dei centri artistici più vivaci e culturalmente aggiornati in Italia. Il pittore genovese vi lavora inizialmente in équipe con il paesaggista Antonio Peruzzini e di seguito in autonomia realizza due tra i suoi capolavori più unici e originali per il soggetto scelto: la Riunione di quaccheri e la Sinagoga. Frutto certamente della curiosità intellettuale del Gran Principe