La collocazione dei quattro dipinti di Francesco Paglia presso le sale di Palazzo Gaifami, avvenuta in due fasi tra il 2021 e il 2023, costituisce un’opportunità espositiva davvero fortunata. Se da un lato, infatti, le singole opere sono valorizzate dalla grandiosità decorativa del contesto, dall’altro concorrono esse stesse ad impreziosirlo, incastonandosi nei suoi spazi come gemme preziose.
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Palazzo Gaifami
Fu a Carlo Innocenzo Carloni che nel corso degli anni quaranta del Settecento i fratelli Gaifami affidarono la decorazione del loro sontuoso palazzo, sito in contrada dei Fiumi e riedificato a partire dal 1742 per celebrare l’ammissione dei committenti al Consiglio generale cittadino. Prese così vita la maestosa decorazione che ammiriamo ancora oggi, nella quale, sui soffitti dello scalone e delle stanze al piano nobile (che comprende il celebre salone) si dispiegano degli ampi sfondati, popolati da un tripudio di figure allegoriche abbinate con disinvoltura a soggetti mitologici e ai quali fanno da cerniera le articolate architetture prospettiche dei quadraturisti Giovanni Zanardi e Carlo Molinari, attivi sul cantiere a fianco di Carloni. Gli affreschi calano lo spettatore in una dimensione opulenta e raffinatissima, dove allegoria e mito concorrono a celebrare le virtù trionfanti sui vizi, le arti liberali, la pace e la giustizia, la vittoria e il merito ed evocano anche, attraverso i loro protagonisti, episodi di tematica amorosa o, potremmo dire, nuziale: i miti di Zefiro e Flora, Bacco e Arianna, Imeneo.
L’esposizione
È entro questo scenario che si trovano oggi le tele di Francesco Paglia. Tre di queste, approdate in Palazzo Gaifami nel 2022, rappresentano delle allegorie, incentrate sulla contrapposizione tra valori transeunti e perenni: la Gioia caduca, l’Amore duraturo e la Passione effimera.
Il riconoscimento dei loro soggetti – interpretati dalla medesima modella – è stato puntualizzato nel 2006 da Angelo Dalerba, sulla scorta delle indicazioni iconografiche descritte dallo storico dell’arte seicentesco Cesare Ripa nella sua Iconologia.
I tre dipinti, sebbene rappresentino delle allegorie, esplicano bene la notevole vena ritrattistica di Francesco Paglia, largamente espressa, stando alle fonti, al servizio delle famiglie della nobiltà bresciana. Ne fornisce un incredibile esempio il Ritratto di nobildonna (identificata da Luciano Anelli con la contessa Fulvia Martinengo), anch’esso ospitato presso palazzo Gaifami. Nonostante il diverso taglio del soggetto, colto a figura intera, e la più ariosa composizione si riscontrano qui i tipici caratteri stilistici del pittore bresciano: la gamma cromatica derivata da Guercino, il marcato chiaroscuro del volto, le eleganti creste luminose dei panneggi e la minuzia descrittiva della veste damascata e delle numerosissime perle, tutti elementi che confermano Francesco Paglia tra i più raffinati pittori del Seicento bresciano.